Terremoto, imprenditori senza azienda. "Ma non ce ne andiamo"
In mezzo al caos del post sisma ci sono anche imprese che resistono di fronte agli stabilimenti danneggiati e alla produzione bloccata. Idea ceramica: "Mettiamo in sicurezza tutto e ripartiamo presto. La nostra vita è qua"
Renzo Vacondio ci attende seduto sulla sua scrivania. Girato verso il computer col caschetto anti-infortunistico sulla testa sembra Salvador Allende con elmetto e mitra asserragliato alla Moneda intento ad affrontare i golpisti. Anche se per Renzo, l’imprenditore in elmetto, il nemico suo, e della sua fabbrica, è il terremoto. Lui, amministratore delegato della Idea ceramica di Finale Emilia, 140 dipendenti, lo affronta a viso aperto. Del resto il suo stabilimento ha tenuto. “Il lavoro deve andare avanti. Ora stiamo mettendo in sicurezza le parti dello stabilimento lesionate e nel frattempo facciamo le consegne delle piastrelle che erano pronte. Tre-quattro settimane e contiamo di riprendere la produzione. Aspettare cinque mesi vuole dire non ripartire più, parliamoci chiaro”.
Delocalizzare all’estero o in altre parti? “Una cagata – esclama Vacondio – conviene stare qua. Invece di portare via le fabbriche, perché non impariamo a costruire per reggere scosse ancora più grosse delle ultime? Magari l’antisismico potrebbe diventare un settore d’avanguardia italiano”. Sempre a pensare al lavoro questi emiliani.
Ora ci sono al lavoro solo impiegati, addetti alle consegne e operai di altre ditte che stanno controllando la condizione delle strutture. Dentro lo stabilimento ci si passa il meno possibile, almeno per ora. “Se un imprenditore aveva il capannone instabile e ci ha fatto entrare della gente – dice Vacondio riferendosi agli operai morti nelle due scosse – questa è una sua responsabilità. Un ingegnere ci pensa bene prima di dare il suo assenso per l’idoneità statica”.
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